Il nuovo studio di Swiss Life esamina i rischi previdenziali legati al lavoro a tempo parziale, al divorzio e alla convivenza. Vi si evidenzia che in Svizzera i percorsi professionali e i modelli di famiglia stanno cambiando, il che comporta in particolare opportunità per le donne, ma anche nuove sfide sul fronte della previdenza per la vecchiaia.
- La quota di famiglie fondate sulla convivenza è aumentata vertiginosamente nell’ultimo decennio: oggi una coppia su cinque con figli di età inferiore ai cinque anni non è sposata, mentre nel 2010 la proporzione era di poco più di una coppia su dieci.
- Le madri in coppie conviventi, con un grado di occupazione medio del 58%, lavorano sì in più rispetto alle madri sposate (45%), ma nettamente meno dei padri (circa 90%).
- Così facendo, molte madri non sposate si espongono a notevoli rischi previdenziali in caso di separazione o decesso del partner, ma non si occupano molto della questione.
- Riguardo all’attività lucrativa, continuano a prevalere chiaramente i ruoli tradizionali: in Svizzera i padri lavorano a un grado di occupazione di circa il 40% in più rispetto alle madri. Tuttavia, se padri e madri potessero scegliere liberamente, la differenza si ridurrebbe più che della metà.
- Solo il 39% della popolazione riflette a fondo sulle ripercussioni del proprio grado di occupazione sulla previdenza per la vecchiaia. Le donne che riflettono sulla questione presentano in media un grado di occupazione di 6 punti percentuali più elevato.
- Le coppie sposate sottovalutano la probabilità di divorzio. Solo un uomo su quattro e una donna su cinque riflette a fondo sulle eventuali conseguenze nell’ambito della previdenza per la vecchiaia.
Le pensionate di oggi percepiscono una rendita di vecchiaia di circa il 30% inferiore a quella degli uomini. «Questa cifra, tuttavia, rispecchia il passato, poiché si basa su percorsi professionali e progetti di vita già trascorsi. Nel presente studio gettiamo uno sguardo al futuro e analizziamo cosa potrà aspettarsi un giorno dalla previdenza la popolazione che si trova attualmente in età lavorativa», afferma Andreas Christen, responsabile dello studio.
Il «gap del grado di occupazione» si sta riducendo, ma non accenna a sparire
Nella genesi del gender pension gap giocano un ruolo fondamentale le differenze tra donne e uomini in termini di reddito da attività lucrativa prodotto nell’arco di tutta la vita, differenze riconducibili principalmente alla riduzione del grado di occupazione delle donne che diventano madri. Anche se il divario medio di genere nel grado di occupazione tra il 1996 e il 2022 è sceso da circa 40 a 24 punti percentuali, e dovrebbe ridursi ulteriormente, non scomparirà in un futuro prossimo. Il sondaggio condotto nell’ambito dello studio di Swiss Life evidenzia, ad esempio, che le giovani donne senza figli che esprimono il desiderio di averne si aspettano più spesso di ridurre il proprio grado di occupazione rispetto alle loro controparti maschili. «Una tale decisione in molti casi è duratura: una volta ridotto il grado di occupazione, spesso non si lavora più a tempo pieno fino al pensionamento», afferma Christen, responsabile dello studio. Più bassi sono i redditi provenienti da un’attività lucrativa, più basse sono le rendite, soprattutto nella previdenza professionale. Inoltre anche le possibilità di risparmio nel terzo pilastro sono maggiormente limitate. Secondo un sondaggio di Swiss Life le donne che versano nel pilastro 3a sono meno rispetto agli uomini (56% vs. 65%), soprattutto per via del reddito. Inoltre, anche indipendentemente dal reddito, investono meno in azioni, obbligazioni o fondi (22% vs. 38%).
La partecipazione alla forza lavoro continua a essere influenzata dalla suddivisione classica dei ruoli
Lo studio di Swiss Life mette in luce anche diversi motivi delle differenze di genere a livello di partecipazione al mercato del lavoro. Da un lato emerge una chiara visione dei ruoli: in media, per i genitori con figli piccoli, le persone intervistate considerano ideale un grado di occupazione del 50% per la madre e dell’80% per il padre. Dall’altro lato, il divario di genere nel grado di occupazione effettivamente osservato è più ampio di quello che la popolazione considera ideale. Se potessero scegliere liberamente, i padri lavorerebbero a un grado di occupazione mediamente inferiore (74%) rispetto a quello effettivo (93%), le madri invece lavorerebbero leggermente di più (58% anziché 54%). Ciò indica che non sono solo le preferenze e la ripartizione dei ruoli a influenzare la partecipazione al mercato del lavoro, ma vi sono anche dei vincoli oggettivi. Il sondaggio rivela infatti che per circa un terzo delle madri senza lavoro o con un lavoro part-time il motivo risiede nel numero insufficiente o nel costo troppo elevato di posti negli asili nido o di servizi extrascolastici.
Che ripercussioni ha il grado di occupazione sulla previdenza per la vecchiaia?
«Finché sussisteranno grandi disparità di genere nella partecipazione al mercato del lavoro e nel reddito da attività lucrativa, ad anni di distanza si osserveranno differenze anche nelle pensioni», afferma la co-autrice Nadia Myohl. Nonostante ciò, secondo quanto dichiarato, solo una minoranza delle donne (37%) e degli uomini (41%) intervistati ha riflettuto a fondo sulle conseguenze del grado di occupazione sulla propria previdenza per la vecchiaia. Le donne che riflettono sulla questione lavorano in media circa il 6% in più rispetto a quelle che non lo fanno. Tuttavia non è chiaro se la riflessione su questo tema porti effettivamente all’aumento del grado di occupazione o se l’aumento sia dovuto ad altri motivi.
Il rischio di divorzio viene sottovalutato e non vengono considerate le conseguenze finanziarie
Un altro aspetto fondamentale nel gender pension gap è la situazione familiare. La disparità tra le pensioni, ad esempio, è più marcata tra gli attuali pensionati coniugati, anche se in questi casi in genere le ripercussioni finanziarie dirette sono meno incisive rispetto ad altre situazioni. Probabilmente il quadro non cambierà in futuro, dato che la maggior parte delle coppie sposate intervistate di età inferiore ai 64 anni condivide per la maggior parte i propri redditi (66%). Occorre tener presente che qualsiasi matrimonio prima o poi finisce in seguito a divorzio o morte. Le persone interpellate, tuttavia, sottovalutano il rischio del divorzio: in media, stimano tale rischio allo stesso livello del rischio di rimanere vedovi/e prima del pensionamento. In realtà, però, in età lavorativa il numero delle donne che divorziano è circa 4,5 volte superiore a quello delle donne che rimangono vedove. Inoltre, solo il 26% degli uomini sposati e il 19% delle donne sposate si interrogano a fondo sulle ripercussioni che il divorzio avrebbe sulla loro previdenza per la vecchiaia, anche se spesso avrebbe conseguenze finanziarie negative per entrambi gli ex coniugi. Le donne ne sono mediamente più colpite: tra le persone divorziate attualmente in pensione, il gender pension gap ammonta a circa il 15%.
Le madri che lavorano part-time in famiglie fondate sulla convivenza presentano rischi previdenziali più accentuati
Sempre più coppie di genitori, almeno all’inizio, non si sposano. Nel 2022 circa il 20% delle coppie con figli di meno di cinque anni non era sposato, mentre nel 2010 la percentuale superava appena il 10%. Le madri non sposate con partner e figli di età inferiore ai 15 anni lavorano in media al 58% e sono quindi più presenti sul mercato del lavoro rispetto alle madri coniugate (45%), ma nettamente meno presenti dei padri (circa il 90%). Il forte aumento di tali situazioni comporta nuove sfide dal punto di vista previdenziale, in quanto le madri che lavorano a tempo parziale in economie domestiche conviventi godono di una copertura peggiore in caso di separazione o decesso del partner rispetto a quelle sposate. In teoria è possibile ridurre queste lacune nel quadro della previdenza privata e di accordi contrattuali. Tuttavia, è perlomeno discutibile se ciò avvenga in misura sufficiente. «Secondo il nostro sondaggio, è raro che i genitori conviventi affrontino in modo approfondito le questioni previdenziali», afferma il responsabile dello studio Christen.
L’intera documentazione e ulteriori informazioni sono reperibili qui.
La metodologia
Lo studio si basa, tra l’altro, su un sondaggio rappresentativo per la popolazione assimilata dal punto di vista linguistico condotto a febbraio e marzo 2023 dall’istituto di ricerche di mercato ValueQuest su incarico di Swiss Life. Al sondaggio condotto online hanno partecipato 4029 persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni. I calcoli impiegati nello studio basati sui dati del sondaggio sono stati effettuati dalle autrici e dagli autori di Swiss Life. I questionari sono stati sviluppati prevalentemente da Swiss Life e completati da ValueQuest. Per le loro analisi, gli autori e le autrici dello studio hanno inoltre utilizzato diverse basi di dati dell’Ufficio federale di statistica, p.es. record individuali della rilevazione UST RIFOS (rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera).
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