In questa intervista Stefanie Weber, nuova responsabile Group HR, spiega come vede il ruolo del quadro dirigente di oggi, quali ripercussioni avrà il coronavirus sul mondo del lavoro e come valuta la cultura della collaborazione presso Swiss Life e come i cambiamenti a livello professionale hanno influito sulla sua carriera.

Signora Weber, nel 1995 ha iniziato come tirocinante presso l’allora Rentenanstalt. Da inizio anno dirige HR a livello di gruppo. Una carriera programmata?
In realtà volevo diventare veterinaria, quindi mi sono allontanata parecchio dal mio progetto iniziale (ride). Amo assumere responsabilità, sono interessata a molte cose, intervengo e partecipo attivamente. Questi sono gli aspetti che mi hanno guidato. Molti dei miei avanzamenti di carriera sono poi risultati automaticamente. Non credo si possa pianificare la propria carriera fino all’ultimo dettaglio. Il fatto che nel mio curriculum vitae attuale risultino alcuni cambiamenti di direzione è per me un grande arricchimento. Durante tutti questi anni trascorsi presso Swiss Life ho lavorato in diversi settori, iniziando da Mercato Svizzera, per poi successivamente lavorare, tra l’altro, presso l’allora Swiss Life in Belgio, nella divisione International e nel settore Group Finance & Risk. Da queste esperienze attingo decisamente nel mio ruolo attuale, avendomi esse permesso di addentrarmi nei diversi temi che riguardano la nostra impresa.

Si riscontra la frequente presenza di curriculum vitae non lineari, come il suo; oggi i percorsi di sviluppo professionale sono meno fortemente predefiniti. In che modo Swiss Life tiene conto di questa tendenza?
Oggi accade più spesso che qualcuno inizi un nuovo percorso tematico. Cambiare direzione significa ripensare la propria vita professionale. Presso Swiss Life, nell’ambito dell’iniziativa a livello di gruppo “Attivi nella vita professionale”, abbiamo lanciato alcune misure atte ad agevolare questo nuovo orientamento. A mio parere c’è ancora qualche difficoltà a livello di riconoscimento sociale. Continuano a sorgere domande quando, per esempio, un uomo decide di ridurre il grado di occupazione alla nascita di un figlio o se qualcuno desidera alleggerirsi dalla responsabilità dirigenziale. Tutti i collaboratori dovrebbero invece avere la libertà di adeguare la propria situazione professionale alle diverse fasi della vita, in modo da conciliare vita privata e vita professionale. Per me questo è inerente alla libertà di scelta, fulcro del nostro purpose.

Swiss Life si posiziona fortemente, sia verso l’interno che verso l’esterno, a mezzo del proprio purpose. In quale misura questo giova a Swiss Life nel suo ruolo di datore di lavoro?
Attraverso il purpose del vivere in piena libertà di scelta denotiamo un’identità positiva e interessante. Sono convinta che questo approccio contribuirà notevolmente ad attirare i collaboratori giusti. Sempre più persone cercano senso e raggiungimento di obiettivi primari nel lavoro nonché una conformità con i valori personali. Il nostro purpose funge da punto di riferimento importante al riguardo.

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Il dirigente di oggi svolge contemporaneamente diversi ruoli, tra cui in particolare quello di coach e mentore.

Il concetto di conduzione si trova in fase di cambiamento. Leggendo articoli sull’argomento, si ricava l’impressione che il modello di “capo” vecchio stampo sia ormai superato. Condivide questa valutazione?
Sì, sono dell’opinione che l’approccio classico “il capo sono io e quindi comando io” sia definitivamente superato. Il dirigente di oggi svolge contemporaneamente diversi ruoli, tra cui in particolare quello di coach e mentore. Il dirigente di successo sa coordinare, crea le condizioni quadro necessarie e dà il necessario grado di autonomia ai collaboratori. Esso è però anche presente nel momento in cui si tratta di prendere decisioni o di intervenire. Il ruolo del superiore è fortemente influenzato dal modo in cui collaboriamo. Parto dal presupposto che in futuro lavoreremo maggiormente in rete di team anche al di fuori di progetti. Ciò significa che i collaboratori cooperano in modo intersettoriale e interdisciplinare con i colleghi riguardo a determinate tematiche, facendo nel contempo parte di una struttura organizzativa fissa. Naturalmente ciò presuppone la presenza dell’infrastruttura necessaria, come ad esempio il lavoro mobile.

Grazie agli strumenti digitali il nostro posto di lavoro diventa sempre più dinamico. Che cosa possiamo fare per sfruttare i lati positivi di questa flessibilizzazione e, al contempo, soddisfare il bisogno di riposo, di periodi di timeout e di staccare dal lavoro?
Da un lato, i dirigenti sono chiamati in causa quando si tratta di comunicare le aspettative al riguardo. Se, per esempio, è chiaro che la serata e il fine settimana sono considerati come tempo libero in cui non ci si aspettano risposte alle e-mail, la delimitazione è molto più facile. Naturalmente questo funziona solo se i superiori lo fanno in prima persona. Al contempo, però, i collaboratori medesimi hanno il dovere di pianificare le fasi di riposo e di trovare il modo di ricaricarsi dalla vita lavorativa.

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Parto dal presupposto che in futuro lavoreremo maggiormente in rete di team anche al di fuori di progetti.

In questo periodo il coronavirus è causa di scompiglio nel mondo intero. Quali sono le ripercussioni sul mondo del lavoro?
Il coronavirus ci obbliga effettivamente a cambiare la nostra vita. Anche quella professionale. I modelli di lavoro, come il lavoro mobile e i mezzi tecnologici disponibili, generano flessibilità in termini di tempo e di spazio nel lavoro quotidiano. Tuttavia, non abbiamo mai utilizzato il lavoro mobile in tale misura. Al centro c’è la possibilità di esercitare al meglio le nostre funzioni, in qualsiasi momento e ovunque. Lavorare con Microsoft Teams o OneNote assume, pertanto, un significato completamente nuovo. In tal senso, definirei il coronavirus un “test stress” per il mondo del lavoro, in cui tutti sono chiamati a creare e utilizzare condizioni quadro ottimali per il lavoro flessibile e la collaborazione.

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